Sembra facile essere «felici», quando la vita ti sorride. Come è accaduto a Jacques Henri Lartigue, nato alla fine dell’Ottocento in un’agiata famiglia dell’Ȋle-de-France, che nei suoi 92 anni di vita non ha mai avuto bisogno di lavorare sotto salario e che ha attraversato senza traumi il «secolo breve», scampando a due guerre mondiali e ai suoi orrori. Un uomo che, cresciuto in dimore esclusive, ha bevuto soltanto buoni vini, vestito abiti su di misura, aspirato i migliori profumi, amato le donne più belle. E che volendo dedicarsi all’arte, ha potuto esprimersi in piena libertà come pittore, scrittore e fotografo senza l’affanno del consenso della critica e del pubblico (senza cioè dover vendere le sue opere per mantenersi), perseguendo allegramente la sua personale filosofia di vita, alla «ricerca della felicità ».
Bene, detto così, monsieur Lartigue ci suscita istintivamente una certa antipatia: quella riservata ai «figli di papà » che non hanno mai dovuto lottare per conquistarsi qualcosa. Ma le cose, come spesso accade, non sono proprio come sembrano. Jacques Henri Lartigue è stato un privilegiato, senza dubbio. Ma è stato anche un grande artista, dotato di quel talento che solo pochi hanno avuto in dono (e anche questo, effettivamente, è una fortuna e un privilegio). Un fotografo che per tutta la vita ha cercato di immortalare la «felicità », sì: ovvero di cogliere l’attimo fuggente, il sorriso di un bambino, la commozione di un adulto, il gesto atletico di un istante, la gioia che illumina un volto, il raggio di luce che improvvisamente squarcia il buio. E l’ha fatto con una dedizione e una profondità assolutamente ammirevoli.
Jacques Henri Lartigue
Sembra facile essere «felici», quando la vita ti sorride. Come è accaduto a Jacques Henri Lartigue, nato alla fine dell’Ottocento in un’agiata famiglia dell’Ȋle-de-France, che nei suoi 92 anni di vita non ha mai avuto bisogno di lavorare sotto salario e che ha attraversato senza traumi il «secolo breve», scampando a due guerre mondiali e ai suoi orrori. Un uomo che, cresciuto in dimore esclusive, ha bevuto soltanto buoni vini, vestito abiti su di misura, aspirato i migliori profumi, amato le donne più belle. E che volendo dedicarsi all’arte, ha potuto esprimersi in piena libertà come pittore, scrittore e fotografo senza l’affanno del consenso della critica e del pubblico (senza cioè dover vendere le sue opere per mantenersi), perseguendo allegramente la sua personale filosofia di vita, alla «ricerca della felicità ».
Bene, detto così, monsieur Lartigue ci suscita istintivamente una certa antipatia: quella riservata ai «figli di papà » che non hanno mai dovuto lottare per conquistarsi qualcosa. Ma le cose, come spesso accade, non sono proprio come sembrano. Jacques Henri Lartigue è stato un privilegiato, senza dubbio. Ma è stato anche un grande artista, dotato di quel talento che solo pochi hanno avuto in dono (e anche questo, effettivamente, è una fortuna e un privilegio). Un fotografo che per tutta la vita ha cercato di immortalare la «felicità », sì: ovvero di cogliere l’attimo fuggente, il sorriso di un bambino, la commozione di un adulto, il gesto atletico di un istante, la gioia che illumina un volto, il raggio di luce che improvvisamente squarcia il buio. E l’ha fatto con una dedizione e una profondità assolutamente ammirevoli.