Margaret Bourke-White è stata una fotografa e una donna straordinaria che ha documentato con il suo obiettivo gli avvenimenti più significativi del Ventesimo secolo. Prima donna corrispondente di guerra, nel corso di cinquant’anni ha realizzato per la rivista Life reportage unici dall’Unione Sovietica di Stalin, dal fronte della Seconda Guerra Mondiale, dall’India di Gandhi, dalla guerra di Corea e dalle miniere del Sudafrica. Nasce in una famiglia borghese nel Bronx, il 14 giugno 1904. Scopre la fotografia durante il college. Inizia la sua carriera a poco più di vent’anni nel 1927, specializzandosi nella fotografia industriale. Manifestando, sin dall’inizio una personalità coraggiosa ed indipendente che le consente di spingersi nelle zone più pericolose degli stabilimenti, arrampicandosi su ponteggi instabili senza temere le alte temperature degli altiforni, alla ricerca della miglior inquadratura possibile. E’ la prima fotografa a dare un’interpretazione artistica della fotografia industriale dalla quale è particolarmente attratta. Del resto, in quegli anni a cavallo della Grande Depressione, lo spirito dell’intera nazione è pervaso dalla speranza nell’industrializzazione vista come via d’uscita verso il progresso e il benessere. Lei stessa dichiara in un’intervista che “ponti, navi e officine hanno una bellezza inconscia e riflettono lo spirito del momento”. Lo spirito pionieristico accompagna Margaret Bourke-White durante i reportage unici che realizza nei primi anni Trenta per la rivista americana Fortune.Nelle industrie tedesche e poi in quelle sovietiche. Primo fotografo occidentale autorizzato a scattare foto in URSS. Prima donna della storia fotoreporter di guerra, unica donna tra soldati ed aviatori. Margaret Bourke White non esita a partecipare ad operazioni di pattugliamento dei cieli ed accetta di dormire in trincea per fotografare campi di battaglia, ospedali, bombardamenti aerei e, soprattutto, documenta il drammatico arrivo degli americani guidati dal generale Patton nel campo di concentramento nazista di Buchenwald nel 1945. Momento relativamente al quale scrive “Fu quasi un sollievo poter usare la macchina fotografica: interponeva una sottile barriera tra me e l’orrore che avevo davanti agli occhi”.
All’inizio degli anni Cinquanta è considerata ormai fotografa di fama mondiale. Negli Stati Uniti si dedica alla fotografia aerea, sua passione da sempre. Per i suoi ultimi servizi da fotoreporter viene inviata in Corea alla fine della guerra e poi in Sudafrica, dove scende nelle miniere d’oro per fotografare le terribili condizioni di lavoro dei minatori di Johannesburg. In questi anni inizia a soffrire di paralisi agli arti e maneggia con crescente difficoltà la macchina fotografica a causa di quella che Margaret chiama “la mia misteriosa malattia”. Viene diagnosticata come morbo di Parkinson nel 1953. Nonostante il suo approccio coraggioso ed ottimistico alla malattia, nel 1957 firma il suo ultimo reportage per Life ed è costretta ad abbandonare la macchina fotografica. Negli ultimi anni si dedica alla scrittura e nel 1963 pubblica l’autobiografia “Il mio ritratto” che si rivela un bestseller. Muore a seguito di una caduta accidentale nel 1971, a 67 anni.
Margaret Bourke-White
Margaret Bourke-White è stata una fotografa e una donna straordinaria che ha documentato con il suo obiettivo gli avvenimenti più significativi del Ventesimo secolo. Prima donna corrispondente di guerra, nel corso di cinquant’anni ha realizzato per la rivista Life reportage unici dall’Unione Sovietica di Stalin, dal fronte della Seconda Guerra Mondiale, dall’India di Gandhi, dalla guerra di Corea e dalle miniere del Sudafrica. Nasce in una famiglia borghese nel Bronx, il 14 giugno 1904. Scopre la fotografia durante il college. Inizia la sua carriera a poco più di vent’anni nel 1927, specializzandosi nella fotografia industriale. Manifestando, sin dall’inizio una personalità coraggiosa ed indipendente che le consente di spingersi nelle zone più pericolose degli stabilimenti, arrampicandosi su ponteggi instabili senza temere le alte temperature degli altiforni, alla ricerca della miglior inquadratura possibile. E’ la prima fotografa a dare un’interpretazione artistica della fotografia industriale dalla quale è particolarmente attratta. Del resto, in quegli anni a cavallo della Grande Depressione, lo spirito dell’intera nazione è pervaso dalla speranza nell’industrializzazione vista come via d’uscita verso il progresso e il benessere. Lei stessa dichiara in un’intervista che “ponti, navi e officine hanno una bellezza inconscia e riflettono lo spirito del momento”. Lo spirito pionieristico accompagna Margaret Bourke-White durante i reportage unici che realizza nei primi anni Trenta per la rivista americana Fortune.Nelle industrie tedesche e poi in quelle sovietiche. Primo fotografo occidentale autorizzato a scattare foto in URSS. Prima donna della storia fotoreporter di guerra, unica donna tra soldati ed aviatori. Margaret Bourke White non esita a partecipare ad operazioni di pattugliamento dei cieli ed accetta di dormire in trincea per fotografare campi di battaglia, ospedali, bombardamenti aerei e, soprattutto, documenta il drammatico arrivo degli americani guidati dal generale Patton nel campo di concentramento nazista di Buchenwald nel 1945. Momento relativamente al quale scrive “Fu quasi un sollievo poter usare la macchina fotografica: interponeva una sottile barriera tra me e l’orrore che avevo davanti agli occhi”.
All’inizio degli anni Cinquanta è considerata ormai fotografa di fama mondiale. Negli Stati Uniti si dedica alla fotografia aerea, sua passione da sempre. Per i suoi ultimi servizi da fotoreporter viene inviata in Corea alla fine della guerra e poi in Sudafrica, dove scende nelle miniere d’oro per fotografare le terribili condizioni di lavoro dei minatori di Johannesburg. In questi anni inizia a soffrire di paralisi agli arti e maneggia con crescente difficoltà la macchina fotografica a causa di quella che Margaret chiama “la mia misteriosa malattia”. Viene diagnosticata come morbo di Parkinson nel 1953. Nonostante il suo approccio coraggioso ed ottimistico alla malattia, nel 1957 firma il suo ultimo reportage per Life ed è costretta ad abbandonare la macchina fotografica. Negli ultimi anni si dedica alla scrittura e nel 1963 pubblica l’autobiografia “Il mio ritratto” che si rivela un bestseller.
Muore a seguito di una caduta accidentale nel 1971, a 67 anni.